Storie milanesi: reggiseno&giradischi

Senza titolo

 

A pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale la tradizionale fiera milanese di Sant’Ambrogio, conosciuta come “la Fêra di Oh Bej! Oh Bej!”, aveva ripreso vigore e, sia pure a proprio modo, partecipava attivamente alla rinascita della città. Un segnale di fiducia che si manifestava in maniera disordinata ma efficace: puntava infatti a una particolare ricostruzione, quella degli individui, delle singole persone, tramite un’offerta degna della corte dei miracoli. C’era di tutto, per tutte le borse e per qualsiasi esigenza o necessità.
Strattonavo mia madre da una bancarella all’altra alla ricerca di un giradischi usato, però funzionante: mi era stato promesso se fossi andato bene a scuola. A un certo punto fu lei a trattenermi con un perentorio “spêcia on momênt.” “Off mama, ma non vedi ch’è tutta roba vecchia!” “Vêgia o no, l’è dês ànn che g’hoo bisôgn d’on saràcòll!” “E che marca sarebbe?” Gran brutta cosa non capire il dialetto, ché quasi ci bisticciammo. Che cavolo ne sapevo io, timido biondino “bugia nen” , che “saràcòll” e reggiseno sono la stessa cosa!? “E poi” aggiunsi con tono sussiegoso, “non c’è la tua misura, che sei piatta come l’asse da stiro!” Puntuale arrivò “el pàpîn” sul muso, che quello sì, sapevo cosa volesse dire.

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