“Se va avanti di questo passo andrà a finire che dimenticheremo anche il ricordo del silenzio intermittente, che è tutta un’altra cosa rispetto all’assordante silenzio del vuoto.”
Calvo Pepàsh provava nostalgia per la quiete notturna dei tempi passati, quando il riposo veniva turbato, di tanto in tanto, dal canto stonato dell’ultimo ubriaco, dal rombo di una motocicletta ritardataria, dalle sirene del sabato notte, distinguibili nel loro pulsare (solo ambulanza uguale soccorso alla persona; ambulanza più polizia uguale incidente stradale) che si perdeva in lontananza. Poi si riprendeva a dormire, almeno fino ai primi rumori dell’alba, quando la città, lentamente, si risvegliava. Ora le cose sono cambiate e sembra un paradosso poiché il vuoto pesa come un macigno e quando è lacerato ricorda un lamento funebre.
Ci si rigira nel letto, ci si alza ignorando l’appuntamento con il bagno e si guarda la strada nella speranza di cogliere qualche segno di vita. Calvo provava quasi gioia nel constatare che la tal automobile era parcheggiata diversamente dal giorno precedente. Gioia effimera, poiché ben sapeva che così sarebbe rimasta per un tempo non più codificato, lasciato al caso. Quando si affacciava al balcone senza mascherina si sentiva coraggioso, ma nel suo immaginario avvertiva la presenza subdola del nemico invisibile. Meglio rientrare. Forse leggendo un libro sarebbe riuscito a scacciare la solitudine del vuoto.
by Calvo Pepàsh