L’ispettore Calvo Pepàsh era fumantino come un gatto nero a cui avessero pestato la coda per dispetto: dal ministero gli era giunta comunicazione urgente che la richiesta di aumento di stipendio era stata respinta, per non creare un precedente che avrebbe indotto altri colleghi ad avanzare analoghe sollecitazioni.
Quella sera, dunque, decise di tornarsene a casa a piedi, facendo un giro largo, a casaccio, giusto per farsi sbollire l’incazzatura. Strada facendo gli capito d’inciampare in un cadavere morto ammazzato: si limitò a evitarlo come si usa fare quando ci si trova di fronte a un improvviso meconio canino: “Mavaffanculo, rompiballe. Ma vai a farti ammazzare da un’altra parte!”
Sottoforma di rapporto debitamente compilato, il morto se lo ritrovò sulla scrivania la mattina dopo, e siccome dalla sera precedente nulla era cambiato del suo rimuginare temporalesco, identica fu la reazione: “Mavaffanculo anche tu!” Però ebbe netta la sensazione di trovarsi di fronte a una congiura astrale quando iniziò a leggere il verbale degli agenti che per primi erano accorsi sul posto a seguito di una telefonata anonima. Le generalità della vittima gli esplosero beffarde dentro il cervello: Grattifica, Girolamo Grattifica, conosciuto anche come “il pernacchia” nel giro delle sale da biliardo di periferia. Davanti a una di queste qualcuno gli aveva fatto la festa fracassandogli il cranio.
Il commissario, unico a conoscenza della petizione inoltrata dal suo sottoposto all’economato ministeriale, gli aveva affibbiato il caso. “Così impari a non darmi retta” gli aveva detto per telefono. “Niente di personale, ma sei l’unico che in questo momento ha un beato cazzo per le mani. Però se non te la senti fa niente, ché lo sai che all’Ufficio passaporti sono sempre sotto organico.”
Grandissimo figlio di un’ancora più grande puttana!
Il Marietto ferramenta era l’unico giocatore di biliardo di cui avesse memoria. Lo ricordava per paio di motivi: sonore batoste quando erano ragazzini, anche a boccette e, soprattutto, perché aveva la erre moscia, strascicata da fare invidia a un parigino. Quando ti viene in mente una persona è risaputo che poi da cosa nasce cosa, ricordi offuscati, neppure ricordi, solo supposizioni, fantasie da monello.
Il negozio di ferramenta era sempre al solito posto, in quel breve tratto del corso Lodi compreso tra le vie Scrivia e Tagliamento. Ricordava anche i negozi: pasticceria, piatti vetri e cristalli, il salumiere, Madit abbigliamento, il Marietto, la tabaccheria. Il Marietto però non c’era. Aveva mollato tutto e quel tutto se l’era giocato con la stecca. Gli dissero che gli fu fatale un mancato filotto alla goriziana, dopo di che, pieno di debiti, scomparve dalla circolazione.
Alcuni dei superstiti di quella felice stagione chiamata gioventù gli raccontarono anche che la voce ricorrente era che si fosse appeso per il collo con un robusto nastro di tapparella e poi buttato dal balcone. Ammesso che si fosse buttato, ché loro ci credevano poco o niente: non era il tipo cui passavano per la testa simili scemenze. “Pagare e morire, c’è sempre tempo” era il suo credo. Fine della storia. Però almeno una morale l’aveva ricavata: di biliardo si poteva morire.
Dai risultati necroscopici risultò che per fracassare la testa del Grattifica fosse stato impiegato il classico corpo contundente, un bastone o magari, perché no? il calcio di una stecca da biliardo. Ad avvalorare l’ipotesi c’era il ritrovamento, nella poltiglia cerebrale, di alcune microscopiche particelle di legno colorato che ricordavano, per l’appunto, le impugnature coniche delle stecche dagli intarsi variopinti. Gli tornò in mente il disappunto del povero Marietto, che quando andavano al circolo dei socialisti per una partita con il tassametro tarato su prezzi politici, militari e possessori di tessera Enal (Ente nazionale attività ludiche) sconto del 20 per cento, si lamentava della leggerezza complessiva dello strumento: “Una stecca con le palle deve avere il calcio rinforzato con un’anima di piombo. Con sta roba sembra di giocare col manico di una scopa!” Chissà perché s’era impiccato? Già allora usava il metodo del doppio binario, ereditato dalla madre. Dentro la bottega: qui non si fa credito a nessuno; fuori della bottega: pagare e morire c’è sempre tempo. Se lo ricordava.
L’interno della sala da biliardo non era come se l’aspettava, cioè fumo basso e sputacchiere, tipi torvi al bar, ancora più minacciosi dietro il bancone scuro. Niente della tradizionale iconografia resa celebre dai film americani in bianco e nero oppure dai “noir” francesi alla Jean Gabin. Vietato fumare; il giocatore educato non bestemmia; gli ospiti possono accedere ai tavoli solo con apposito tesserino di riconoscimento; toilette a pagamento; non parlare ai giocatori; le donne sono tenute ad un abbigliamento decoroso; insomma, mancava soltanto il Crocefisso.
“Ispettore, non so spiegarmelo. Un morto in quel modo non era mai successo. Qui per giocare devi essere socio, lasciare una caparra, niente in sospeso, a meno che non intercorrano accordi tra giocatori. Il Grattifica? Socio d’antica data, anche se frequentava poco. Detto tra noi, come giocatore era una schiappa e lo sapeva. Smise di giocare quando un tipo frivolo, dopo averlo battuto, lo spernacchiò in faccia. Da qui il soprannome. Frequenza? Un paio di volte al mese, si fermava circa una mezz’ora, il tempo di scambiare qualche saluto, sì certo anche con me. Ci conosciamo… ci conoscevamo da tempo. ”
Quanto tempo?
“Di preciso non saprei, però mi pare di ricordare che me lo presentò un certo Marietto, sì proprio lui, adesso mi viene in mente, per via che lo chiamavano il ferramenta, però con la consonante vibrante, insomma sbilenca, transalpina.”
Calvo ebbe un fremito, però subito trattenuto poiché se giochi al biliardo, come recita il celebre adagio, ci vuole calma e gesso. E infatti, appena rientrato in ufficio fece baraonda: “Voglio sapere tutto, dico tutto, sul proprietario della sala del morto. Scattare, cazzo!” Non era il suo modo di fare, ma se avesse risolto il caso rapidamente sarebbe ritornato alla carica nei confronti della cassa statale. Morto o non morto, quella gratifica gli spettava di diritto. “Scattare cazzo!”
Puntale Achille. Un cognome, un programma. Anni cinquanta, nativo ecc. ecc. con piccoli precedenti iscritti al Penale ma mai finiti in giudicato: prestava quattrini in maniera ragionevole, ufficialmente senza strafare, ma dietro l’angolo un figlio di puttana. Usuraio, ma di particolari libri contabili neanche l’ombra.
Mettiamogli un po’ di pepe al culo: “Esigo un pedinamento tipo KeGheBe durante la guerra fredda e telefono e telefonino sotto controllo 24 su 24.”
Ispettore, come pedinante al momento ci sarebbe solo Gargiuolo, il centralinista, che scalpita per passare alla squadra investigativa. Quando è in servizio con la divisa d’ordinanza, nessuno penserebbe che è un poliziotto.
“E poi?”
Sempre Gargiuolo, in abiti borghesi, però è talmente gasato che si veste da poliziotto in abiti borghesi. Insomma, riconoscibile anche al cimitero nel giorno dei morti.
“Ho capito. Il Puntale lo seguirò io. Procuratemi una parrucca. Gargiuolo mi coprirà le spalle in abiti borghesi. Così se il Puntale s’accorge d’essere pedinato scoprirà certamente anche il mio pedinatore. Sì, un accorgimento al pepe e paprika piccante.”
La comitiva dei Grandi Puffi si mise in azione e in effetti, dopo un po’, al sospetto incominciò a tremare il puntale, tanto che ai Puffi gli sembrava che la questione si sarebbe chiusa in breve tempo.
Il colpo di scena fu un’autentica mazzata, di quelle che abbatterebbero anche un ippopotamo in calore. Ad annunciarlo fu Gargiuolo il quale, quando non era impegnato nelle attività investigative a sostegno dell’ispettore, tornava al suo posto di centralinista: “Capo! Capo cazzo! Cazzo capo!”
Calma e gesso. Gesso e calma poiché la versione epilettica del giovanotto risultava sconosciuta, assente dalla sua scheda sanitaria: tremava e sproloquiava ma su un punto era stato chiaro: Achille Puntale era morto. Morto sul posto di lavoro.
Una grappa ridiede lucidità al povero Gargiuolo, che cosi riassunse: “La chiamata è giunta direttamente dalla sala biliardo. Puntale ha ricevuto una telefonata sul cellulare, è impallidito come una palla d’avorio, s’è portato una mano al petto e poi è stramazzato a suolo. I presenti hanno chiamato l’ambulanza e ora dovrebbe essere all’obitorio.”
“Non c’è dubbio, è morto d’infarto”, disse il medico.
Magari di procurato infarto…
Dalle registrazioni era emerso che il buon Achille aveva ricevuto numerose chiamate, però neppure una parola, solo l’ansimare di una persona, un respiro lento, metodico. Una decina di secondi, ne di più ne di meno. Un asmatico? Quante telefonate? Non le abbiamo contate, ma sono iniziate quando lei ha incominciato a ficcare il naso là dentro dopo la morte del Grattifica.
E l’ultima telefonata? Sì, in quell’occasione ci fu un brevissimo scambio di battute: “Non posso pagare. Pagherai e pagherai caro”, niente di più.
Sentiamo un po’. Cazzo! Tre erre strascicate, alla francese. Cazzo e poi ancora … Quella voce gli ricordava vagamente quella del Marietto, ma il Marietto è morto o no? E perché è stato ammazzato il Grattifica? Indagare, cazzo!
“Capo, sul Pernacchia io un’idea l’avrei, se lei permette.” Il Gargiuolo in borghese sembrava Robert Miccium in miniatura nei panni di Philiph Marlowe alle prese con un bicchiere di whisky troppo grande.
Ormai l’una vale l’altra, racconta. Vado? Vai! Per farsi coraggio tracannò d’un fiato l’alcolico ma invece di parlare incominciò a tossire come Kirk Douglas nella Sfida all’Ok Corral. Dilettante, pensò Calvo Pepàsh.
Ancora con le lacrime agli occhi e colpi di tosse estemporanei Gargy espose la sua teoria: “Ad ammazzare il morto è stato Puntale poiché il Grattifica lo ricattava dopo aver scoperto qualche segreto altarino dell’usuraio. Una buona ragione per mazzuolarlo. Non trova?”
Trovava. Però mancava l’altarino segreto. Follia per follia, tanto vale provare un tiro di rimessa, magari a quattro, cinque, sei sponde. O magari un tresette col finto morto, poiché in quella sala si giocava anche a carte.
Dunque, una bella fila di acrobatiche supposizioni: 1) le tre erre ammosciate dell’ultima telefonata ricevuta da Puntale lasciano credere che il buon Marietto sia tutt’altro che defunto; 2) il telefonista assicura che vendetta sarà fatta; 3) Perché? Marietto e Grattifica si conoscono; 4) Marietto sparisce per sottrarsi alle grinfie dell’usuraio; 5) il Grattifica viene informato dei fatti dal latitante e insieme mettono in atto la redditizia contromossa: ricattare Puntale; 6) Puntale ignora la relazione e decide di ammazzare il ricattatore; 7) allora Marietto s’incazza poiché la supposta pecunia viene meno; 8) iniziano le criptiche telefonate silenziose, con lo scopo di logorare il ricevente: si sa che soffre di passeggere cardiopatie; 9) Puntale crepa per un coccolone e addio sogni di gloria.
“Il punto dieci l’aggiungo io”, gli disse il commissario capo: “Prove? Zero. Se le tramano le mani per l’emozione non costruisca castelli di carte e soprattutto la smetta di inviare richieste di gratifiche al ministero.”
Marietto, dove cazzo ti sei nascosto?!