(avrei dovuto pubblicarlo venerdì, ma per scaramanzia ho aspettato che passasse il weekend ndr)
Lettori amici,voi che m’accostate,
liberatevi d’ogni passione.
E, leggendo, non vi scandalizzate:
qui non si trova male né infezione,
ed è pur vero che poca perfezione
apprenderete, se non sia per ridere.
Altra cosa non può il mio cuore esprimere
Vedendo il lutto che da voi promana:
meglio è di risa che di pianti scrivere,
ché ridere soprattutto è cosa umana.
Così vendeva la sua mercanzia per fiere e mercati il sommo François Rabelais (si pronuncia Rablé), tanto sommo che assommando arguzie, frizzi e lazzi, salì ai primi gradini delle Lettere di Francia e lì vi rimase a imperitura memoria pel nostro godimento. Un po’ meno pei potenti del suo tempo, tra i quali s’annoveravano gli aridi sorboniani, dotti ma intransigenti e che mai gli perdonarono d’aver vestito la tonaca fratesca per poi scrivere delle basse volgarità del genere umano. Insomma e per farla breve: un immorale che scandalizzava il Rinascimento francese con le inverosimili storie di Garagantua e il di lui figlio Pantagruele, incurante di fuorviare l’innocenza del popolo. Sorbona cazzuta, così lontana da non capire che, semmai, era proprio il volgo ad aver carpito la sua primigenia freschezza.
Perché ne scrivo è assai semplice, per la ragione che anch’io sono saccheggiatore d’osterie senza mai cedere all’isteria, che semmai nel vino volentieri l’affogo. Dopo di che, assicuratomi delle di lei dipartita, vado per le fiere e i mercati tecnologici come imbonitore di poco prezzo, al seguito di quell’azzardata compagnia ristretta a coorte sotto il vessillo del principe Sussukandom da Crema.